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Immagine del redattoreMirko Rizzi

La regola del passo indietro

Una delle più grandi lezioni che ho ricevuto dal mio amico/maestro Corrado riguardo la conduzione dei laboratori teatrali per bambini e ragazzi è capitata al termine di uno spettacolo di fine laboratorio (a me la definizione “saggio” non è mai piaciuta anzi, proprio non la capisco). Oggi per me e molti altri colleghi il mese di maggio e l'inizio giugno è il periodo più intenso dell’anno. Quasi sempre i laboratori si chiudono con uno spettacolo pubblico finale e, nonostante per me questa non sia altro che l’ultima lezione del laboratorio (mai lo scopo), le giornate sono un rincorrersi di prove, preparazione di musiche, rassicurazioni alle maestre, ceste di materiali vari che salgono e scendono freneticamente dall’auto, paura di aver dimenticato qualcosa. Quand’ero all’inizio, e sono più di vent’anni fa ahimè, i laboratori erano un decimo di quelli che seguo oggi ma lo stress era forse maggiore. Si chiama “mancanza di esperienza”. Ho avuto colleghe che hanno smesso di fare laboratori a causa dello stress causato dai “saggi”. Per quanto tu ti possa preparare, quando lo spettacolo ha inizio, non puoi più fare (quasi) niente. La lezione di cui parlavo all’inizio arrivò proprio alla fine si uno spettacolo così: applausi, ragazzi contenti, genitori contenti, insegnanti contente, io dimagrito. Corrado mi aveva portato in quella scuola dove già lui lavorava cedendomi un paio di classi; dopo aver seguito i suoi la stagione precedente ed aver condotto qualche lezione insieme a lui mi mandava da solo, sempre pronto ai consigli. Erano tra le prime che seguivo autonomamente. Alla fine di tutto il suo parere mi interessava più di qualunque altra cosa e puntualmente arrivò: “Bello” mi disse “ci hai messo dentro un sacco di cose… ma i ragazzi dove sono?” ùSBAM (la sportellata in faccia) Quanto aveva ragione. Perchè nel fare quello che faccio si incorre in un rischio altissimo: trasformare il LORO spettacolo nel PROPRIO spettacolo. Mettere al centro le proprie idee, il proprio teatro e trasformare i ragazzi in burattini inconsapevoli. Io non so se sia l’ego o la paura, forse è solo mancanza di fiducia. Ma oggi so con certezza che non è attraverso i tecnicismi o la regia che si vede il mio lavoro. Non sono le coreografie articolate, le luci fantascientifiche, i testi elaborati così tanto che delle parole vive dei ragazzi non rimane che un’ombra. Il mio lavoro si vede negli occhi dei bambini e dei ragazzi che sul palco sono vivi e che vivono quello fanno e che dicono, che non ripetono, che non sono terrorizzati dalle parole che gli sono state messe in bocca, che non si esibiscono. So che bisogna stare un passo indietro ed evitare tutto ciò che possa mettere in ombra i bambini ed i ragazzi. Perché non devo affermare me stesso. Perché lo spettacolo sono loro.

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