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Il Teatro come Ponte: Armonizzare Libertà Espressiva e Richieste Didattiche a Scuola

  • Immagine del redattore: Mirko Rizzi
    Mirko Rizzi
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 5 min


Quante volte, da addetti ai lavori nel mondo della scuola o semplicemente da genitori attenti, abbiamo osservato quel "salto" un po' spaesante che i bambini vivono passando da un ciclo scolastico all'altro? Immaginate la scena: un bambino che fino a giugno era immerso in un ambiente, come quello della scuola dell'infanzia, dove la parola d'ordine era esplorazione, creatività a briglie sciolte, arte come gioco quotidiano. Un luogo dove, come diceva Maria Montessori, "Il gioco è il lavoro del bambino". Poi, a settembre, lo stesso bambino si ritrova in una scuola primaria magari con insegnanti, pur validissime, giustamente ancorate a un programma, a obiettivi didattici precisi, che richiedono fin da subito un comportamento più controllato, un'attenzione focalizzata e sostenuta.

È quasi inevitabile: i piccoli si sentono disorientati, a disagio. E chi può biasimarli? Si creano delle vere e proprie "equazioni di contrasto", frutto di differenze marcate nell'interpretazione pedagogica dei diversi istituti. Questo non è un giudizio di merito su un approccio piuttosto che un altro, ma una constatazione: la transizione può essere brusca. E il problema si ripropone, con sfumature diverse, anche nel passaggio alla scuola secondaria, quando ai ragazzi, ormai adolescenti, si chiede un ulteriore scatto verso l'autonomia e la responsabilità, dopo magari anni di un approccio più guidato.

Come trovare, allora, un equilibrio sostenibile tra la promozione della libertà espressiva e la necessaria richiesta di attenzione e competenza? Come costruire un ponte che renda meno traumatici questi passaggi, valorizzando il percorso di crescita nella sua interezza? Credo fermamente che il teatro, in questo senso, possa offrirci un modello prezioso, quasi un laboratorio vivente.


L'equivoco della creatività "eterea" e la concretezza del "fare" teatrale


Spesso si associa il teatro a un'idea di creatività un po' fumosa, quasi puramente intellettuale o, al contrario, a un "fare finta" senza regole. Niente di più lontano dalla realtà della pratica teatrale seria. Il teatro, infatti, è il luogo dove l'aspetto della concretezza si sposa meravigliosamente con quello della creatività.

E qui arriviamo a un concetto a me molto caro: la creatività è una cosa concreta. "Creare" è un verbo d'azione, non (solo) del pensiero. Come ci ricorda il grande pedagogista John Dewey, impariamo davvero attraverso l'esperienza, attraverso il fare: "Learning by doing". Nel teatro, questo è lampante. Non basta pensare le scene, le storie, i personaggi: bisogna realizzarli. Bisogna dar loro corpo, voce, movimento. Bisogna scontrarsi con la realtà, con la differenza abissale che c'è – come dice il proverbio – tra il dire e il fare. O, in questo caso, tra il pensare e il fare.

Il grande maestro Jerzy Grotowski, parlando del suo "teatro povero", metteva al centro l'attore e la sua azione, la sua "partitura fisica e vocale". Non c'è spazio per l'approssimazione se si vuole comunicare davvero. Ogni gesto, ogni intenzione deve essere precisa, sentita, agita.


Il teatro: una palestra di vita (e di scuola)


Pensiamoci bene: cosa richiede un laboratorio teatrale, anche il più semplice?

  1. Ascolto e Attenzione: Per improvvisare insieme, per costruire una scena corale, per seguire le indicazioni del regista o del formatore, è fondamentale saper ascoltare attivamente e mantenere alta la concentrazione. Non è forse quello che chiediamo a scuola?

  2. Rispetto delle Regole e dei Tempi: Ogni gioco teatrale, ogni esercizio ha delle regole. Ci sono tempi da rispettare, spazi da condividere, turni da attendere. Questa "disciplina" non è imposta dall'alto in modo sterile, ma è funzionale alla riuscita del gioco stesso, dell'atto creativo. Come diceva Lev Vygotskij a proposito del gioco, "nel gioco il bambino si comporta sempre al di sopra della sua età media, al di sopra del suo comportamento abituale; nel gioco è come se fosse una testa più alto di sé stesso." Le regole del gioco teatrale spingono a questa crescita.

  3. Gestione Consapevole delle Emozioni: Il teatro non chiede di reprimere le emozioni, ma di riconoscerle, esplorarle e incanalarle in modo espressivo. È un'educazione emotiva potentissima, che aiuta a sviluppare quella che Daniel Goleman chiama "intelligenza emotiva", cruciale per il benessere individuale e relazionale.

  4. Collaborazione e Punto di Vista: Il teatro è intrinsecamente un'arte collettiva. Si impara a lavorare insieme, a fidarsi degli altri, a costruire qualcosa che va oltre il singolo contributo. Interpretare un personaggio, poi, costringe a mettersi nei panni di un altro, ad ampliare il proprio orizzonte, a comprendere la molteplicità dei punti di vista.

  5. Concretezza e Problem Solving: L'idea non funziona? La scena non "gira"? Bisogna trovare soluzioni, provare, riprovare, aggiustare il tiro. Il teatro educa alla concretezza, alla verifica continua tra intenzione e risultato.

Peter Brook, nel suo celebre "Lo spazio vuoto", scrive: "Posso prendere uno spazio qualunque e chiamarlo palcoscenico. Un uomo attraversa questo spazio mentre un altro lo osserva: questo è tutto ciò che serve perché si verifichi un atto teatrale". In questa apparente semplicità c'è un mondo di intenzioni, azioni e relazioni concrete.


Un "Fil Rouge" Teatrale per i Diversi Livelli Scolastici


Come può, dunque, questa "filosofia teatrale" aiutarci a creare continuità nel percorso scolastico?

  • Nella Scuola dell'Infanzia: Si possono proporre giochi di espressione corporea, drammatizzazioni di fiabe, piccole improvvisazioni guidate che, pur mantenendo un approccio ludico e libero, inizino a introdurre l'ascolto dell'altro, la turnazione, la condivisione di uno spazio e di un'azione comune.

  • Nella Scuola Primaria: Si può passare a esercizi più strutturati, alla creazione collettiva di brevi storie, all'esplorazione dei personaggi. Il "fare teatro" può diventare uno strumento per apprendere altre discipline in modo più coinvolgente e concreto (storia, letteratura, educazione civica). L'attenzione si sposta gradualmente anche sulla qualità del "gesto" e della parola.

  • Nella Scuola Secondaria: Si possono affrontare testi più complessi, lavorare sull'analisi del personaggio in profondità, sulla regia collettiva, sulla consapevolezza critica del linguaggio teatrale. Qui, la disciplina richiesta dal "fare" teatrale (impegno, costanza, precisione) diventa ancora più evidente e formativa.

L'obiettivo non è trasformare tutti gli studenti in attori professionisti, sia chiaro. È piuttosto quello di utilizzare la metodologia e i principi del teatro per coltivare quelle competenze trasversali – attenzione, ascolto, collaborazione, creatività incarnata, capacità di affrontare e risolvere problemi concreti – che sono fondamentali per navigare con successo non solo la scuola, ma la vita.


Conclusione: La Sublimazione nel "Gesto Teatrale"


Il teatro, con la sua meravigliosa capacità di unire mente, corpo ed emozione, ci insegna che la creatività, per esprimersi appieno, ha bisogno di concretezza, di "scontrarsi" con la materia, con il limite, per poi trascenderlo. Trova la sua sublimazione nella realizzazione del gesto teatrale, dell'atto teatrale compiuto, che è sempre frutto di un pensiero, di un'emozione, ma anche di un lavoro meticoloso, di una disciplina interiore e di una profonda connessione con gli altri.

Forse, integrare maggiormente questo approccio "incarnato" e consapevole nei nostri percorsi educativi potrebbe davvero aiutare i nostri bambini e ragazzi a vivere i passaggi scolastici non come fratture, ma come tappe di un unico, coerente e appassionante viaggio di crescita. Un viaggio dove libertà espressiva e richieste strutturate non sono poli opposti, ma alleati indispensabili per spiccare il volo. Come affermava saggiamente Aristotele nella sua Poetica, il teatro è "mimesi", imitazione di un'azione, e attraverso questa rappresentazione si può giungere alla "catarsi", una forma di purificazione e comprensione profonda. E cos'è l'educazione, se non un percorso verso una più profonda comprensione di sé e del mondo?

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