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Immagine del redattoreMirko Rizzi

Interpretare il “Non so” nei Laboratori Teatrali: La Chiave per Superare i Blocchi Creativi




Introduzione

Nei laboratori teatrali, è frequente che i partecipanti, posti di fronte a un’esercitazione creativa, rispondano con un “Non lo so”, con "Non mi viene in mente nulla o con un “Boh”. Queste risposte apparentemente vaghe, sono in realtà indicatrici di complesse dinamiche psicologiche, che un buon conduttore deve saper decifrare. Capire cosa si cela dietro questa esitazione è fondamentale per aiutare i partecipanti a scoprire e valorizzare il loro potenziale creativo.


1. La Paura di Sbagliare e il Concetto di Vulnerabilità Creativa

Molto spesso, il “Non lo so” nasconde una forte paura di sbagliare o di fare una brutta figura. In un ambiente creativo, dove non esiste una risposta “giusta”, questo timore può diventare un ostacolo. La psicologa Brené Brown, famosa per i suoi studi sulla vulnerabilità, afferma: “La vulnerabilità non è debolezza; è il coraggio di mostrare ciò che siamo veramente” (Brown, 2012). In teatro, è essenziale passare questo concetto, trasmettendo ai partecipanti che ogni idea ha valore e che il teatro non richiede risposte esatte, ma piuttosto un’esplorazione sincera e aperta.


2. La Resistenza alla Fatica Creativa e l’Esercizio della Responsabilità

Alcuni partecipanti tendono a evitare lo sforzo creativo preferendo un approccio più passivo, in cui eseguire ciò che il conduttore chiede è più semplice rispetto al creare. Peter Brook, uno dei più grandi teorici del teatro, sosteneva che “l’attore non è un burattino, è un creatore” (Brook, 1968). Il teatro è un atto di responsabilità e iniziativa, e il conduttore deve ricordare agli allievi che la loro creatività è necessaria, non accessoria. In questo contesto, la ripetizione meccanica è solo un primo passo: ciò che conta è il contributo originale di ciascuno, perché solo così il teatro diventa un atto volontario e personale.


3. La Ricerca della “Risposta Giusta” e l’Influenza del Modello Scolastico

Un’altra lettura del “Non lo so” è che il partecipante tenti di intuire la risposta che il conduttore vorrebbe sentire, anziché proporre una risposta autentica. Questo comportamento è influenzato dal sistema educativo, che spesso premia la risposta “corretta” a discapito dell’espressione personale. Il drammaturgo Bertolt Brecht sosteneva che “il teatro deve essere uno spazio di riflessione e domande, non un luogo di risposte preconfezionate” (Brecht, 1930). Come conduttori, dobbiamo far capire ai partecipanti che in teatro non esiste un’aspettativa predefinita: ciò che conta è la loro visione, non la conformità a uno schema prestabilito.


4. L’Equilibrio tra Espressione Individuale e Collaborazione Creativa

Nel lavoro teatrale di gruppo, una sfida comune è gestire le dinamiche tra chi tende a imporre le proprie idee e chi, al contrario, è timido nel proporre le proprie. Viola Spolin, madre del teatro d’improvvisazione, affermava che “l’improvvisazione non è fare qualsiasi cosa, è collaborazione e ascolto reciproco” (Spolin, 1963). Incoraggiare un clima di rispetto e integrazione reciproca permette di creare una “rete” in cui le idee individuali si mescolano e si potenziano a vicenda, aumentando la qualità dell’esperienza teatrale.


Conclusione

Interpretare risposte come “Non so” o “Boh” è un’abilità essenziale per i conduttori di laboratori teatrali. Questa interpretazione richiede sensibilità psicologica, capacità di creare uno spazio sicuro e una consapevolezza profonda delle dinamiche di gruppo. Solo così il laboratorio diventa uno spazio di vera esplorazione, in cui ogni partecipante è invitato a trovare la propria voce, sfidando timori, preconcetti e barriere interiori. Come afferma il regista polacco Jerzy Grotowski, “Il teatro è una via per scoprirsi, per esplorare sé stessi” (Grotowski, 1968). E questa scoperta inizia dal coraggio di rispondere, anche quando la risposta non è chiara o immediata.

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